Nata il 4 febbraio del 1919, Abbadessa del Monastero Camaldolese di Sant’Antonio dal 1955, subito dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II iniziò la sua opera rinnovatrice della comunità e fondatrice degli attuali monasteri tuttora esistenti in terra di missione. Il primo monastero ad essere da lei eretto fu quello di “Maria Madre della Chiesa” di Wakamaldoli a Mafinga, in Tanzania.
Negli anni avvenire aiutò diversi monasteri benedettini e camaldolesi presenti in Italia, America, Africa, Brasile, e in India, con lo scopo di far riscoprire il valore inestimabile della testimonianza profetica della vita monastica nella realtà della Chiesa.
Aprì le porte del monastero ai poveri che cercavano il pane così come a tutti coloro che chiedevano il dono della Parola di Dio e del silenzio adorante, nella certezza che sarebbero stati i poveri e i semplici ad accoglierla un giorno nel Regno del Cieli.
Morì il 3 marzo 1993 mentre conduceva il coro delle monache al canto dei Vespri Quaresimali.
Dalle lettere di Madre Ildegarde ad un amico monaco:
“Vi sono momenti in cui avverto la fragilità della foglia e svanire la solidità della quercia. Ho bisogno di ricercare l’appoggio di quella presenza interiore dentro la quale ogni esperienza ritrova fiducia e conforto. L’amore mi sembra essere infatti il contenuto stesso della mia vita di monaca e sento veri i gesti e vere le parole se vivono di amore. L’unione con Dio si garantisce soltanto vivendo di amore… Gioisco nel convergere tutta verso questo unico punto nel quale l’unità è nella verità dell’amore. Sento che amore e verità si identificano in una sorta di unione che non ha bisogno di spazio, né annienta nessuno,
perché l’amore, quando è vero, vive del bisogno dell’altro”.